Pape Satan

Passi controversi della Commedia di Dante

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    PAPE SATAN; PASSI CONTROVERSI DELLA COMMEDIA DI DANTE

    Nota : Alcuni argomenti sono trattati sotto un diverso punto di vista in https://storiaepolitica.forumfree.it/?t=78672627

    Nelle edizioni della Commedia si incontrano vari problemi di interpretazione e di trascrizione, alcuni dei quali sembrano ormai risolti attenendosi al significato letterale del testo e scartando simboli arbitrari, mentre per altri non sembrano in vista soluzioni convincenti. Ne propongo una non esaustiva rassegna:



    Inferno canto I verso 30

    Sì che l‘piè fermo sempre era il più basso

    Ma camminando in salita il “piè fermo” si trova ad essere alternativamente il più basso e il più alto. In settecento anni nessuno ha voluto ammettere che l’io narrante usa un arzigogolo per riferire che stava camminando in piano, eppure (verso 31), Dante, offre una ridondanza informatica:



    Ed ecco, quasi al cominciar dell’erta

    (la salita viene “dopo”)

    Inferno canto III verso 60I

    Che fece per viltate il gran rifiuto

    Chi era costui non lo dobbiamo sapere, perché è uno dei tanti la cui pena consiste, oltre che nella sofferenza inflitta dal vento e dagli insetti, nella damnatio memoriae, nel non essere mai più ricordati; Dante quindi non ne può riferire il nome, però, tanta è la disapprovazione per la rinuncia alla tiara da parte di Celestino V, che, a costo di trasgredire la legge divina che imporrebbe l’anonimato per questi peccatori, fa ben capire di chi si tratta. Sembrano superati i Diocleziano, i Pilato gli Esaù e gli altri.



    Inferno canto V verso 9

    Mentre che il vento, come fa, ci tace

    Tacersi, interrompere l’emanazione di suoni, dunque il vento “si tace”; infatti molti commentatori riportano questa versione più logica e bella, evitando il brutto scioglilingua che rovinerebbe un verso di struggente poesia



    Inferno canto V verso 91

    Se fosse amico il re dell’universo

    Questo lapsus insidiosamente blasfemo è uno dei numerosi sintomi di rimozione imperfetta dei risentimenti che invadono il Poeta, costretto a posizioni mentali che per sua natura non assumerebbe mai, e che invece deve accettare, avendo deciso di conformarsi all’ideologia cattolica scolastica, ma si tratta appunto di un’accettazione piena di ribellioni mal rimosse, che provocano sintomi corrispondenti.



    Qui si tratta della condanna all’inferno per Francesca e Paolo, ma vi sono altri esempi dove compaiono contemporaneamente il motivo rimosso e il sintomo corrispondente come:



    -Il caso di Pier delle Vigne (Inf XIII 31 -45); l’io narrante ha colto il ramicello dal pruno e resta attonito durante tutta la protesta del suicida, calpestando la logica del raccontare:(tanta deferenza per lo sterpo, quando ancora non sa di chi si tratta). Per il Poeta uno strazio di sentimenti, mentre Pier delle Vigne, nella sua disperata dignità, esige il rispetto di Dante che tiene ancora in mano lo stizzo verde. Il non detto sottostante produce una orrenda delicatezza del brano, che in superficie di delicato non ha nulla.


    -La rimossa contrarietà di Dante al trattamento delle anime dei vissuti prima dell’avvento del cristianesimo produce sintomi che compaiono in altri episodi:
    ---l’Acheronte separa nettamente Catone da Marzia, Catone, mutilato della facoltà di amare (Purg I 88 – 93) a Virgilio che lo prega in nome della sua Marzia di concedere il passaggio a Dante, dà una risposta distaccata, burocratica, dove il sintomo è quel cenno di recriminazione che i versi non riescono a filtrare del tutto


    Or che di là dal mal fiume dimora,
    Più muover non mi può per quella legge
    Che fatta fu, quando me n’uscii fuora


    Ma se donna del ciel ti muove e regge,
    Come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
    Bastiti ben che per lei mi richiegge.

    ---Virgilio maestro venerato, è chiuso nel Limbo insieme ai fanciulli morti prima del battesimo (Inf IV 41 42;Purg VII 28-33). Il sintomo emerge nel modo che ha Virgilio di sottolineare la levità della sofferenza, e nell’ammettere una disperazione anestetizzata:



    Semo perduti, e sol di tanto offesi,
    Che sanza speme vivemo in disìo

    Loco è laggiù non tristo da martìri
    Ma di tenebre solo, ove i lamenti
    Non suonan come guai, ma son sospiri
    Quivi sto io coi parvoli innocenti
    Dai denti morsi della morte, avante
    Che fosser dell’umana colpa esenti;


    -Con altre figure si opera una specie di compensazioni come per Sigieri di Brabante, averroista, in Paradiso insieme a Tommaso d’Aquino di cui fu avversario (Par X 136 – 138), o Federico II, che Dante condanna all’inferno (Inf X, 119) ma poi stigmatizza la ribellione contro di lui da parte dei signorotti veneti (Purg XVI 117)


    Inferno canto VII primo verso

    “Papè satàn, papè satàn aleppe!”

    E’ da considerare la versione proposta da Armando Troni, deformazione dell’arabo “Beb el Chajtan,Beb el Chajtan, Laheppe ”, la porta di Satana, la porta di Satana,(fermati) la fiammata!.



    I versi che seguono tendono a confermare questa interpretazione; vista l’esortazione del savio gentil che tutto seppe (anche l’arabo biascicato dal guardiano infernale) a non farsi danneggiare dalla paura, è come se Dante “si facesse ripetere” da Virgilio quanto Pluto voleva significare, cioè “fermati!”:



    …Non ti noccia
    la tua paura; ché poder ch’elli abbia,
    non ti torrà lo scender questa roccia.


    Questa invasione linguistica merita qualche considerazione: l’arabo con cui avevano contatto gli studiosi del tempo come Brunetto Latini, Raimondo Lullo, Ricoldo da Montecroce, Dante stesso, era l’idioma classico, importato oltre che con i contatti verbali, con i testi che “giravano”, (particolarmente noti dovevano essere oltre al Corano e alle narrazioni del mi’raj, cioè dell’ascesa al cielo di Maometto, ”L’Alchimia della felicità” e il “Libro della Scala” di Abraham Alfaquin); ora le opere scritte escluderebbero le espressioni dialettali della diglossia, ma come spesso accade nelle citazioni in lingue diverse da quella del testo, si operano delle deformazioni più o meno volontarie (un esempio è fornito dallo stesso Dante nella “Vita Nova” alla prefazione del sonetto “Li occhi dolenti per pietà del core”, dove cita la denominazione del mese di ottobre, ”Tisirin”, versione addomesticata dell’originale arabo “Techrjn”) *



    Ma più che una deformazione, questa è una canzonatura che tradisce l’ostilità del Poeta nei confronti della lingua araba, un aspetto dell’atteggiamento negazionista verso la civiltà arabo islamica imposto al Poeta dalla sua credenza religiosa soggetta all’arrocco ufficiale dell’ortodossia ecclesiastica cattolica del tempo.


    Nel seguito del canto e oltre si può evidenziare tutta una serie di posizioni tendenti a descrivere la cultura islamica come fatto episodico, superato; un esempio è Maometto confuso con altri dannati, in una bolgia dove il suo scisma ha lo stesso valore di uno scandalo qualunque e l’Islam è liquidato come uno dei tanti peccati (Inf XXVIII 34 -36)


    E tutti gli altri che tu vedi qui
    Seminator di scandalo e di scisma
    Fuor vivi, e però son fessi così.


    Si tratta evidentemente di una posizione ostentata per dovere partigiano, ma sofferta nell’intimo perché in stridente contrasto con tanta parte della formazione culturale di Dante (vedi .il canto III del Paradiso, verso 120 dove Piccarda Donati elogia l’imperatrice Costanza il cui merito essenziale è aver generato Federico II detto “il Sultano Battezzato”, campione di quella civiltà che si vuole limitata e caduca) **


    Inferno canto XII versi 77 – 78

    ...e con la cocca
    Fece la barba indietro alle mascelle


    Tendendo l’arco con la cocca vicino alla guancia sposta la barba indietro e lascia vedere la bocca.

    Non si vede la ragione per cercare metafore e allegorie ad ogni costo.

    Inferno canto XIV verso 80

    Che parton poi tra lor le peccatrici

    Qualche commentatore riporta l’appropriata versione “pettatrici”, che tuttavia deve ancora essere giustificata con qualche informazione. Ai tempi di Dante la pettatura era un’operazione agricola nota e diffusa come la trebbiatura del grano o la molitura delle olive, giacché costituiva il trattamento centrale della canapa, fibra tessile allora poco meno che unica. La canapa si fa macerare in sufficiente quantità di acqua, si lascia asciugare, e poi la pettatrice (lavoro di donna è) la fa passare attraverso le scanalature longitudinali baciate delle fauci di un coccodrillo (la gramola), e, mentre sempre la pettatrice, con una mano tira il mannocchio, con l’altra che ha afferrato il naso dell’attrezzo, batte la mascella contro la mandibola, triturando le cannule infragilite e lasciando uscire la fibra pulita. Come facevano i primi commentatori a non parlare di “pettatrici”, e a descrivere improbabili congressi di (avessero almeno detto) “meretrici” igieniste?



    Inferno canto XXXI verso 67

    “Rafel mai amech zabi et almi”

    Qui il Poeta non intende mascherare alcun significato, anzi esclude che ve ne sia uno, come dimostra la risposta di Virgilio, così diversa dal caso del pape satan ***. Ma nell’’espressione animalesca di Nembroth, il maggiore colpevole fra coloro che hanno perso il linguaggio comune lungo la torre di Babele, si rintraccia qualche suono ebraico, così in questa frase disarticolata prende senso il contrappasso.



    Inferno canto XXXIII verso 75

    Poscia, più che il dolor poté il digiuno.

    Alcuni sostengono che Ugolino abbia mangiato dai corpi dei giovani appena morti, altri lo negano.
    Strana situazione: i sostenitori della tesi antropofaga sono introvabili direttamente ma sono ripetutamente citati, non nominati, da coloro che si affannano a contraddirli.
    Per esempio Benvenuto e Buti a dimostrazione della tesi negazionista narrano che al momento della sepoltura i figli e i nipoti di Ugolino avevano su ancora ceppi e catene, Borges, fra coloro che amano attribuire a Dante tutte le ambiguità possibili, si schiera per il dubbio.
    Ma questa diatriba ha un che di offensivo nei confronti del Poeta.
    Il verso pone una chiusura lapidaria a un crescendo tragico e disperato, parentesi sospensiva della punizione di Ruggieri, che infatti riprende subito con veemenza.
    Se fosse suggerito uno strascico cannibalesco ,tale da far immaginare possibili atti come addentare l'addome del morto per mangiarne fegato e grasso, si distruggerebbe nel modo più grottesco la solennità della conclusione perentoria dell'assolo di Ugolino. Eliminare l'illazione antropofaga è una inesorabile esigenza estetica.

    Paradiso canto II versi 23 – 24

    E forse in tanto, in quanto, un quadrel posa
    E vola e dalla noce si dischiava,


    Dante propone un’immagine esplosiva per misurare la velocità ultraumana del suo tragitto dalla vetta del Purgatorio al corpo lunare, riferendo di aver impiegato lo stesso infinitesimo tempo in cui la coda di una freccia passa dal grilletto alla testa della balestra (lo scatto della molla) e questo è descritto con un hysteron proteron, come se la freccia prima uscisse (vola) poi venisse scoccata (dalla noce si dischiava). Sbagliata l’interpretazione del percorso fino al bersaglio.



    Paradiso canto XVII verso 58-59

    Tu proverai si come sa di sale
    lo pane altrui,


    Il pane a Firenze è senza sale, come in genere in Toscana, ma non negli altri luoghi della peregrinazione di Dante. Questa informazione declassa la metafora a ipostasi, e smussa la solennità del vaticinio di Cacciaguida; ma non è meglio continuare a leggere il pezzo senza questa pignoleria?



    Paradiso canto XXVIII verso 93

    Più che il doppiar degli scacchi s’immilla


    Raddoppiare e moltiplicare per mille sarebbero due cose diverse, ma non del tutto: ad ogni aumento di dieci dell’esponente di due, cioè lo scorrimento di dieci caselle, corrisponde un fattore mille e oltre, (1024 per l'esattezza) sul valore della potenza:



    210 =1.024
    220 = 1.024x1.024
    230 = 1.024x1.024x1.024
    Ecc.


    E’ forse una considerazione un po’ forzata, ma nel contesto astronomico relativistico ante litteram in cui si svolge l’azione, la nota è almeno plausibile.****



    Paradiso canto XXXI verso 12

    Sarebbe fronda che tuono scoscende

    Inutile discettare sul tuono e sul lampo. Questa è una metonimia con tuono in valore di fulmine.

    Paradiso XXXI 91 - 93

    ... ed ella, sì lontana
    Come parea, sorrise e riguardommi:
    Poi si tornò all'eterna fontana.


    Su questo tratto non si trovano commenti antitetici, anzi non se ne trovano affatto, per questo lo inserirei nella rassegna.
    L’orazione, più retorica che poetica, è terminata; i versi velano un arcano che ti cattura in un pathos profondo, fuori dal tempo. Nel silenzio, un breve sguardo è il richiamo ultraterreno che la poesia regala talvolta a ciascuno di noi.

    Paradiso canto XXXIII verso 142

    All’alta fantasia qui mancò possa

    Fantasia, cioè disvelamento, ma disvelamento così alto che il destinatario non è capace di riceverlo. Nelle terzine precedenti la Divinità è sfumata, strutturalmente inesistita come la sentenza di Sibilla, e tuttavia ammessa come il noumeno kantiano, ma qui siamo al redde rationem, solo l’accenno a una rivelazione irricevibile tende a superarne la proponibilità logica, un punto oltre il quale il nulla o la fede.



    E il Poeta ha deciso perla seconda

    Versi 143 - 145

    Ma già volgeva il mio disire e ‘l velle,
    Sì come ruota ch’igualmente è mossa
    l’Amor che muove il sole e l’altre stelle.


    La volontà è unificata con l’universalità cosmica al di sopra di ogni contingenza, così la serenità è finalmente raggiunta

    Ci sarebbero almeno altri due punti da inserire nella rassegna,

    Il verso 101 dell’inferno canto I, quello del Veltro e
    Il verso 43 del purgatorio canto XXXIII, quello del DXV

    Anche su questi argomenti ci sono state molte esercitazioni e nessuna conclusione del tutto convincente. Se consideriamo che Dante si attiene in tutti i suoi scritti alla concretezza, rischiando l’errore, mai proteggendosi con discorsi fumosi, certo qualcosa di "falsificabile" ha voluto dirla, dunque gli esegeti hanno ancora molto da lavorare per capire di che si tratta.

    Considerazioni generiche

    Corpi e spiriti agiscono in modi non coerenti: per esempio Stazio e Virgilio non possono toccarsi, mentre Virgilio può prendere in braccio Dante e trasportarlo, ma tutto questo non dà fastidio alcuno.
    Citazioni della mitologia classica o invocazioni a figure dell’olimpo pagano si mescolano a preghiere o atti di fede ortodossi, ma una sfumatura esclude l’idolatria dalle prime, che risultano mere dichiarazioni retoriche, (anche se talvolta si è costretti a qualche acrobazia come nel canto IX dell'inferno, versi 60 e 61 con una Medusa effettiva e pronta all'azione), ed evita la “tentazione di Dio” nelle seconde, espressioni di sincera religiosità (anche se qualche esagerazione potrebbe essere talvolta rilevata, per esempio in tutta la prima poco cristallina parte del XXXIII canto del Paradiso).



    Note

    *Le considerazioni qui esposte sono dedotte dai testi di Ievolella, Gabrieli, Asin Palacios, che discutono la possibilità di plagio da parte di Dante ai danni di autori araboislamici come Ibn Arabi, Abraham Alfaquin e altri. Ovviamente qui non ci occupiamo della questione del plagio, ma solo del rapporto di Dante con la lingua araba, e da questi lavori si evince che il Poeta conosceva la lingua a un livello più che sufficiente per produrre la famosa dizione che oggi diremmo giornalistica.

    ** Federico II, “il sultano battezzato”, personaggio che oltre a sintomo è cruccio e ossessione, perno insofferente su cui ruota la visione dantesca tendente a liberare dalla Chiesa la politica laica imperiale e nello stesso tempo ad annichilare la civiltà islamica a favore della dottrina scolastica. Così Federico II compare insieme a Farinata (Inf. X 118) col quale condivide il rispetto ostentato dallo stesso Dante, si ritrova nel canto XIII con qualche giustizia per lui e Pier delle Vigne (fede portai al glorioso uffizio), è citato a proverbio nell’iperbole della tortura inflitta agli ipocriti (Inf. XXIII, 66), è richiamato nel verso 117 del XVI canto del Purgatorio (deve combattere i guelfi in rivolta, acme della corruzione dovuta alla mescolanza dei poteri civile e religioso), ritorna nel verso 12 del III canto del Paradiso, citato da Piccarda Donati attraverso sua madre “Costanza imperatrice” come “il terzo, e l’ultima possanza” (cosa non daremmo per conoscere le intime emozioni di Dante nel comporre questo ricordo!), la sua figura rivive come oggetto di compianto da parte della terra che lo ebbe reggitore (Par. XX 63)

    ***In questa circostanza Virgilio semplicemente zittisce e liquida Nembrot, mentre Pluto viene sgonfiato e abbattuto come a dimostrare quanto sia prima velleitaria e poi sconfitta la sua pretesa di bloccare il percorso di redenzione che Dante sta intraprendendo.

    ****La terra è al centro dell’universo, ma diventa la piccola e distante aiuola che ci fa tanto feroci (Par XXII 151), se vista dall’ottavo cielo, ed è ancor meno centrale rispetto a un punto che raggiava lume: (Par XXVIII 16), punto che risulta fisso rispetto a tutti gli altri corpi che compiono rotazioni composte con rivoluzioni.
    Una visione contemporaneamente galileiana e tolemaica è appunto una concezione relativistica.





    Bibliografia

    Armando Troni su Wikipedia
    Carlo Steiner curatore della “Commedia” edita da Paravia negli anni cinquanta
    Eugenio Camerini curatore della Divina Commedia edita da Edoardo Sonzogno Milano 1877
    Carlo Witte, Paget Toynbee La Commedia di Dante Alighieri, METHUEN E C Londra MDCCCC
    Isidoro del Lungo e altri La Divina Commedia istoriata da Sandro Botticelli Ed. Del Drago Milano 1981
    Massimo Jevolella, Le radici islamiche dell’Europa
    Paget Toynbee, A dictionary of proper names and notable matters in the works of Dante. Oxford 1968.
    William Warren Vernon Readings on the Inferno of Dante. Methuen & Co 1906
    William Warren Vernon Readings on the Purgatorio of Dante.Macmillan and Co London 1897
    William Warren Vernon Readings on the Paradiso of Dante. Macmillan & Co
    Editore Dr.Erwin Laaths Das Neue Leben, Die Göttliche Komödie 1963
    Annual Report of the Dante Society, CXXV 2007
    M le Chevalier Artaud De Monitor, Histoire de D. Alighieri Librairie d’Adrien le Clere et C. 1891
    Miguel Asin Palacios La escatologia musulmana en la Divina Commedia
    Miguel Asìn Palacios Dante e l’Islam; Storia e critica di una polemica; Pratiche P Editrice
    Aldobrandino Malvezzi L’Islamismo e la cultura europea. Sansoni Firenze 1956
    Giuliano Mion La lingua araba Carocci Editore, 2017
    Giacomo Devoto Il linguaggio d’Italia Rizzoli 1996
    Francesco Biondolillo Poetica e poesia di Dante G. D’Anna 1976
    Francesco Gabrieli Arabeschi e studi islamici Guida Editori 1973
    Interviste a persone di lingua madre araba

    Edited by Rafel mei - 13/11/2021, 19:16
     
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    Propongo di migliorare nel seguente modo:
    ad ogni aumento di 10 nell'esponente 2 corrisponde un fattore mille e oltre, per l'esattezza 1024 : 2 alla 10 - 2 alla 20ma 1024 x 1024 2 alla 30ma 1024 x 1024 x 1024 ecc.
    Cioè ad ogni serie di passaggi di 10 riquadri
     
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    Molto interessante Rafal mei, grazie del contributo.
    Non prendo in mano la Divina Commedia da tanti anni; mi hai riportato agli anni del liceo con il tuo lavoro, ben argomentato e scorrevole.
     
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    Nell'inferno canto 33 verso 75 "poscia più che 'l dolor potè 'l digiuno" ..alcuni sostengono che il conte Ugolino si sia cibato dei suoi figli morti di fame, altri lo negano.
    Si può commentare?
     
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    Strana situazione: i sostenitori della tesi antropofaga sono introvabili direttamente ma sono ripetutamente citati, non nominati, da coloro che si affannano a contraddirli.
    Per esempio Benvenuto e Buti a dimostrazione della tesi negazionista narrano che al momento della sepoltura i figli e i nipoti di Ugolino avevano su ancora ceppi e catene.
    Ma questa diatriba ha un che di offensivo nei confronti del Poeta.
    Il verso pone una chiusura lapidaria a un crescendo tragico e disperato, parentesi sospensiva della punizione Ruggeri, che infatti riprende subito con veemenza.
    Se fosse suggerito uno strascico cannibalesco si distruggerebbe nel modo più grottesco la solennità dello stacco. Eliminare l'illazione antropofaga è una inesorabile esigenza estetica.
     
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    Se la chiesa fosse stata rigida e punitiva come la coscienza comune ci impone, dante sarebbe dovuto essere giustiziato, condannato, la sua commedia proibita e bruciata. Invece pare che tutto sommato fosse consentita una certa libertà espressiva anche nel medioevo cristiano. Anzi forse ancora più di oggi.... il che avvalora il mio pensiero ossia che gli uomini medievali non fossero ne più sozzi, ne più blasfemi, ne più cattivi di quelli di oggi...
     
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    QUOTE (Rafel mei @ 2/6/2021, 11:29) 
    Per esempio Benvenuto e Buti a dimostrazione della tesi negazionista narrano che al momento della sepoltura i figli e i nipoti di Ugolino avevano su ancora ceppi e catene.

    senza entrare nel merito: non sappiamo se il Ugolino avesse coltelli o altro atto alla preparazione del pasto. Se si fosse ritrovato a mani nude proabilmente avrá iniziato a mangiare le parti piu molli, quindi mordendo l addome per lacerarlo e poi mangiare fegato e il grasso sopra i reni (cosi di solito accade in natura) er cui nessuna meraviglia che avessero ceppi e catene
     
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    Osservazione giusta e condivisibile; a me sembra che sottolinei la necessità di eliminare anche il sospetto di uno strascico veristico che distruggerebbe la solennità della chiusura perentoria del racconto di Ugolino. Se lei è d'accordo inserirei la parte centrale del suo commento nel testo. Grazie. Rafel mei
     
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    QUOTE (Rafel mei @ 4/6/2021, 14:51) 
    Osservazione giusta e condivisibile; a me sembra che sottolinei la necessità di eliminare anche il sospetto di uno strascico veristico che distruggerebbe la solennità della chiusura perentoria del racconto di Ugolino. Se lei è d'accordo inserirei la parte centrale del suo commento nel testo. Grazie. Rafel mei

    faccia pure, la mia é solo un ipotesi legata al "come" potesse averlo fatto, non "se" lo avesse fatto
     
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    CITAZIONE (davemustaine_88 @ 2/6/2021, 17:11) 
    Se la chiesa fosse stata rigida e punitiva come la coscienza comune ci impone, dante sarebbe dovuto essere giustiziato, condannato, la sua commedia proibita e bruciata. Invece pare che tutto sommato fosse consentita una certa libertà espressiva anche nel medioevo cristiano. Anzi forse ancora più di oggi.... il che avvalora il mio pensiero ossia che gli uomini medievali non fossero ne più sozzi, ne più blasfemi, ne più cattivi di quelli di oggi...
     
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    Osservazioni acute, ben argomentate e documentate
     
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    Quando frequentavo l'Università, 45 anni fa, un mio amico, che studiva sanscrito, aveva fatto una proposta interpretativa partendo appunto dal sanscrito. Purtroppo è passato molto tempo e non ricordo più la proposta. L'unica cosa che mi viene in mente è satàn interpretato come satem "cento". Sembra improbabile una conoscenza del sanscrito ai tempi di Dante, ma non si sa mai...
     
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66 replies since 19/5/2021, 20:52   6877 views
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