Napoli nel mondo ... e in provincia

Core 'e Napule, il mondo parla di Napoli

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    Fergola_Salvatore_The_Inauguration_of_the_Naples_-_Portici_Railway_1840


    Il 3 ottobre del 1839, 180 anni fa, venne inaugurata la prima linea ferroviaria della penisola italiana del Regno delle Due Sicilie, che collegava Napoli alla vicina località di Portici. A questo evento Google oggi dedica il suo doodle, l’immagine che compare di tanto in tanto al posto del logo nella homepage del motore di ricerca a quell'evento che segnò una data importante per la storia delle ferrovie.

    Ferrovia



    La costruzione della Napoli-Portici venne affidata all’ingegnere francese Armando Giuseppe Bayard de la Vingtrie, che aveva esposto il suo progetto tre anni prima a Ferdinando II di Borbone, re dell’allora Regno delle due Sicilie. Il progetto prevedeva di collegare Napoli a Nocera Inferiore con una diramazione per Castellammare. I lavori, diretti da Bayard, incominciarono l’8 agosto 1838 e dopo tredici mesi venne ultimato il primo tratto a un solo binario, a cui prima dell’inaugurazione venne aggiunto un secondo binario.

    Il giorno dell’inaugurazione il re precedette il convoglio e si fece trovare nella villa del Carrione al Granatello di Portici, da cui a mezzogiorno diede il segnale di partenza alla locomotiva, pronunciando questo discorso: «Questo cammino ferrato gioverà senza dubbio al commercio e considerando come tale nuova strada debba riuscire di utilità al mio popolo, assai più godo nel mio pensiero che, terminati i lavori fino a Nocera e Castellammare, io possa vederli tosto proseguiti per Avellino fino al lido del Mare Adriatico». Il convoglio, composto da otto vagoni, impiegò circa dieci minuti a percorrere 7,25 chilometri. A bordo c’erano 48 invitati oltre a una rappresentanza dell’esercito reale costituto da 60 ufficiali, 30 fanti, 30 artiglieri e 60 marinai. Nell’ultima vettura c’era la banda della guardia reale.

    I vagoni furono costruiti a Napoli, nello stabilimento di San Giovanni a Teduccio, mentre la locomotiva a vapore, chiamata “Vesuvio”, venne acquistata dalla società inglese Longridge Starbuck e Co. di Newcastle-upon-Tyne. Nei quaranta giorni successivi all’inaugurazione, 85.759 passeggeri viaggiarono sulla linea Napoli-Portici. Il 1º agosto 1842 la ferrovia venne ampliata raggiungendo Castellammare di Stabia, il 20 dicembre 1843 fu inaugurato il tratto Napoli-Caserta e un anno dopo il treno arrivò a Pompei e Nocera. Nei successivi anni anche negli altri regni italiani venne avviata la costruzione dei primi tratti ferroviari, e al momento dell’Unità d’Italia c’erano circa 2mila chilometri di tracciati ferroviari in tutto il paese.

     
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    Il sindaco di New York mangia la pizza napoletana, quella a portafoglio. Bill De Blasio, sindaco della metropoli, ha partecipato alla seconda edizione di Pizza Festival nel Bronx.

    Dal lungomare di Napoli con il Pizza Village la festa della pizza si ripete per la seconda volta nella Grande Mela con un successo strepitoso.

    Oltre 20 forni per soddisfare tutti i palati, i grandi nomi della tradizione hanno esportato la loro arte oltreoceano e sembrava di trovarsi a Napoli, afferma Gino Sorbillo: "Ho offerto al sindaco De Blasio una pizza a portafoglio con rucola e crudo, gli ho spiegato che se la pizza non si piega “a quattro” (a libretto) non è la vera pizza". Aria di festa e tanta musica hanno accompagnato questo momento di vivacità culinaria.
     
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    Il caffè Napoletano patrimonio dell'Unisco

    TotoPeppino


    Non credo sia troppo lontano dal vero, sostenere che una tazzina di caffè è capace di evocare in ognuno, almeno un racconto, un’esperienza, un ricordo. L’associazione che a me viene da fare con più frequenza mi riporta all’infanzia, quando ogni vacanza la passavo a bazzicare nel vicolo dov’è nata mammà. E dove abitava Antonietta, Ze’ monaca, riferimento saggio di quella piccola comunità, saldamente a presidio di una stanzetta al piano terra, incredibilmente zeppa del suo vissuto e con la porticina sempre aperta in fondo a un susseguirsi di vasi di ortensie e violaciocca, accudite con assoluta dedizione. A lei ci si rivolgeva per un consiglio, per ricomporre piccole incomprensioni e, dal rispetto che tutti gli accordavano, intuivo doveva essere depositaria di tante confidenze. A noi bambini importava però molto di più la granita al limone che preparava d’estate e il fatto che avesse sempre una caramella da darci, la Rossana o quella al miele, una sola, a testimonianza di quanto, una manciata d’anni fa, fossero preziose le cose …e i gesti.

    Ze’ monaca è l’unica persona che ho visto usare regolarmente la caffettiera napoletana, la cuccumella. La moka non ce l’aveva proprio, non tanto per un rifiuto della “modernità”, quanto per il desiderio di tenere viva, a modo suo, tutta una ritualità di cui si era fatta sentinella. Fatto è, che a metà mattinata, l’aroma del suo caffè preservato da un cuppetiello improvvisato di carta di zucchero, ricomponeva un mondo che sembrava sfuggire. Chiamava a raccolta, interrompendo il fervore delle faccende, tutti gli abitanti del vicolo che arrivavano alla sua porticina, come i monaci al convento.

    Questo tipo di ritualità che sfiora il sacro, questo retroterra, è alla base del successo che la “Cultura del caffè espresso napoletano tra rito e socialità”, ha ottenuto qualche giorno fa con la registrazione ufficiale nell’Inventario nazionale del patrimonio agroalimentare italiano: la porta d’accesso al riconoscimento di bene del Patrimonio immateriale dell’Umanità Unesco. Un’affermazione dal profumo particolare, visto che per lo stesso riconoscimento era stata avanzata anche la proposta del “Caffè espresso italiano tradizionale”, formulata da un consorzio di 15 imprese del Nord, forti di un consistente investimento economico.

    Ha quindi prevalso la tradizione sul fatturato, la cultura sugli affari, Ze’ monaca sui manager. Vince il Sud, le relazioni, il rito, vince Napoli. Non tanto per la qualità del prodotto finale, ‘a tazzulella, che pure è indubitabile, quanto per la profondità dei sentimenti umani che ad esso sottendono …e poco importa se il caffè del vicolo non fosse di certo un espresso e assomigliasse di più a quello turco o a quello arabo. Altri due caffè che, non a caso, per via della profonda storia popolare, nella lista del patrimonio Unesco ci stanno già.
     
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    Bravissimo Fred7106
    A volte diamo per scontate certe cose....basilari della nostra cultura
    Che dovremmo invece divulgare in giro per il mondo ....e sopratutto tramandare ai nostri diretti discendenti affinché cose ,situazioni e luoghi non si perdano nel tempo
     
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33 replies since 7/12/2017, 21:20   1412 views
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