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dal sito del Corriere
La Campania come lo Zimbabwe, dove si raccoglie il tabacco a 3 euro l’ora
(Sandro Orlando) Che l’immigrazione illegale avesse consentito a certi settori dell’economia italiana di sopravvivere alla crisi, restando competitiva, finora potevamo intuirlo. Ora una lunga inchiesta condotta dal quotidiano Guardian nelle campagne della Campania, fornisce la conferma di come lavoro nero, sfruttamento anche minorile e caporalato siano diventate parte essenziale della filiera del tabacco, fino a creare per gli addetti condizioni di semi schiavitù. Con giornate lavorative di 12 ore, nessun contratto, zero tutele anche sanitarie, e paghe di 3 euro l’ora per i lavoratori dalla pelle nera — quasi sempre clandestini o irregolari senza documenti. Per i «bianchi» invece, rumeni o albanesi con permessi di soggiorno, le retribuzioni salgono a 5 euro l’ora. Dall’Osservatorio Placido Rizzotto spiegano che «l’80% degli addetti senza contratto è costituito da migranti». In questo centro studi della Cgil, dove si indaga sull’intreccio tra criminalità organizzata e filiera agroalimentare, si stima che la metà dei lavoratori del comparto sia oggi formato da migranti: e parliamo di 4-500 mila persone. È stata la disponibilità di questo esercito di manodopera a basso costo a consentire all’Italia di diventare il primo produttore di tabacco dell’Ue, attirando tutte le multinazionali del settore, da Philip Morris a British American Tobacco e a Imperial Brands, che hanno investito miliardi nella nostra penisola per aprire dei siti produttivi. Impegnandosi ad acquistare le foglie di tabacco da aziende agricole italiane, Campania in testa, a condizioni però evidentemente non molto diverse ds quelle applicate nello Zimbabwe, il primo fornitore africano delle multinazionali di sigarette.
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